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Il percorso artistico

Nella vita di Carlo Pace (1937-2011) è esistita una sola realtà, l’Arte.

Carletto inizia giovanissimo l’attività artistica per innata predisposizione e favorevole ambiente familiare. La sua esistenza trascorre silenziosamente immersa nel personale lavoro di ricerca. Tre sono fondamentalmente gli aspetti connotanti il percorso artistico di Carlo Pace: la ricerca, lo sperimentalismo, l’eclettismo. La costante documentazione e il confronto con le correnti del suo tempo, gli hanno consentito una singolare capacità di attraversamento della scena artistica internazionale con esiti significativi. Egli infatti, è riuscito a riportare tutte le acquisizioni al denominatore comune della sua personalità, alla specificità del suo mondo e del suo modo di essere. Pur nella molteplicità di iniziative, Pace presenta un inconfondibile marchio di riconoscibilità, una logica consequenziale: il fattore Pace (da testo critico Dino Molinari).

Il padre Luigi è stato un protagonista tra coloro che, per i molteplici interessi, hanno saputo creare un clima nella vita culturale alessandrina. Egli ha trascorso l’intera esistenza (1906-1992) in Alessandria.

Era impiegato, con funzioni direttive, nel Genio militare, fino a quando, nel 1946, in società con Gino Cova, dà inizio ad un’attività commerciale aprendo un negozio di cartoleria e filatelia in via Migliara, dove rimane fino al 1966, per poi trasferirsi in via Trotti.

Collezionista polivalente, Luigi Pace ha sempre dimostrato molti interessi. La sua passione per i libri, per esempio, lo aveva avvicinato, fra gli altri, a Venanzio Guerci, ingegnere, urbanista e uomo di cultura, noto per le sue Lecturae Dantis settimanali, cui erano ammesse le migliori intelligenze laiche alessandrine. Pace è un caso tipico in cui la vocazione al collezionismo è primitiva e anticipa l’attività commerciale. Poco più che ventenne è in trattative per l’acquisto di un’opera di Picasso, operazione fallita per la mancata collaborazione paterna. Da collezionista si trasforma presto in mercante, soprattutto per la spiccata attitudine al proselitismo, per il piacere di creare collezioni tra gli amici, oltre che per l’innato istinto mercantile.

Nel 1950 gli viene offerta la gestione di una galleria d’arte in via Montenapoleone a Milano, alla quale rinuncia per non allontanarsi da Alessandria. Si dedica a diverse attività culturali, affiancando come animatore Piero Torriano, Renato Bortolotti, Arturo Mensi nella gestione della Società Amici dell’Arte. Alla sua iniziativa si devono, in gran parte, le operazioni di restauro, la mostra e il convegno relativi al ciclo vasariano di Santa Croce a Bosco, organizzati dal Lion’s Club (di cui fu peraltro tra i padri fondatori, come gli annuari ricordano) nel 1975.

Ha una predilezione particolare per gli artisti alessandrini di cui è, oltre che mercante, amico: Bozzetti, Morando, Caffassi, Levrero, Cuniolo. Ma i suoi rapporti con artisti e gallerie si estendono anche extra moenia. Alla domenica, frequenta quasi regolarmente, accompagnato dal figlio Carlo, la Galleria dell’Annunciata di Grossetti, dove è possibile incontrare Carlo Carrà e Salvatore Quasimodo. E’ amico del critico e storico dell’arte Giampiero Giani, direttore della casa editrice milanese La Conchiglia. Con Casorati, Cardazzo e Buzzi trattano dipinti di Pollock e Kline. A Torino frequenta i fratelli Fogola e Fogliato.

I rapporti del collezionista-mercante si allargano e si aggiornano man mano: i galleristi, i critici e gli editori più importanti nell’ambito territoriale – Torino, Milano, Genova, Venezia; dopo il Novcento – de Chirico, de Pisis, Rosai, Carrà e Casorati – subentrano Sassu e alcuni pittori di ‘Corrente’ e del chiarismo, l’astrattismo geometrico di Soldati, lo spazialismo di Fontana (spesso ospite in Alessandria a casa Pace), i componenti del gruppo d’arte nucleare, specialmente Crippa, Peverello, Dangelo, Dova, i ceramisti di Albissola fra cui Agenore Fabbri, espressionista ed informale, nonché Piero Manzoni.

Nella raccolta di Pace trovavano posto dipinti di Pelizza, un capolavoro divisionista di Morbelli, Lavandaie a Chioggia (che ha raggiunto, in tempi successivi, altissime quotazioni d’asta da Sotheby’s), La strada di Morando, Il porto di La Spezia di Fillia, gioiello del secondo futurismo, importanti opere di Depero.

Alla scuola di cotanto padre si è formato il figlio Carlo, inesauribile sperimentatore. Carlo Pace è stato l’unico informale che abbia avuto Alessandria, di un informale che ha preso le mosse dal nuclearismo negli anni Cinquanta e dallo spazialismo. E’ inoltre mercante d’arte, inquieto attivatore di gallerie.

ANNI 50-60

Il punto di partenza è stato la grande rivoluzione dell’Informale che in Italia veniva teorizzato da Francesco Arcangeli. Carlo Pace non solo è giovanissimo quando abbraccia la novità del movimento che sta trasformando completamente la scena artistica, ma è anche il primo ad introdurla in Alessandria, svolgendo un ruolo di rottura nel contesto locale.

Il padre Luigi gli fornisce l’opportunità di avvicinarsi allo spazialismo di Lucio Fontana, al nuclearismo, al dada storico, al neo dada, movimenti questi, che inseguito,  lo indirizzeranno a ricercare e a operare sui materiali. Le prime opere di Carletto realizzate con cognizione di causa, risalgono al 1952, all’età di 15 anni e sono: tavole astratto-geometriche.

Seguirà una nutrita produzione di copie dal vero, studi di figura umana: autoritratti, ritratti, disegni vari eseguita  a lapis, carboncino, sanguigna, china, attraverso cui inizia ad esprimere la potenzialità del segno. “L’elogio al segno” comprende la prima serie di chine e disegni risalenti al 1953/54.

Negli anni ’50 colore, materia, segno e gesto – diventano protagonisti e vengono a costituire l’unità operativa del decennio. Le opere raramente sono contrassegnate da titoli. Fino al 1962 Pace si mantiene fedele alla poetica informale, ma dal 1960 la materia – olio, tempera, smalto, con l’aggiunta di colle vinavil e altro – è più decantata, più trattenuta nella sua fisicità se pur mossa dal gesto e/o tratteggiata dal segno.

NEOFIGURAZIONE

Nel momento successivo a quello informale, Pace rinnova l’attenzione per l’immagine, creando una neofigurazione caratterizzata da strutture compositive nelle quali forme astratte e forme figurative interagiscono. Il segno, quasi un geroglifico arabescante, testimonia la sua ammirazione verso gli stilemi dell’arte klimtiana. Prendono vita complessi gruppi figurativi: i totem, i manichini, figure senza genere, senza occhi e braccia, simboli angoscianti dell’incomunicabilità sociale.

ANNI  ’70

Spirito libero e insofferente a manifesti e a percorsi di gruppo, Carletto non aderisce ad alcun movimento artistico, ma realizza opere che entrano di diritto nell’arte povera  e testimoniano anche l’interesse per il dada storico, il neo-dada, la pop-art.

CARLETTO70Gli anni settanta sono l’epoca di sperimentazione sui materiali, in quanto Pace avverte l’esigenza di trovare una struttura operativa nuova, pertanto si orienta verso la ricerca di una materiologia autre.  Materiali di recupero come cartoncino, cartone ondulato, cartone da imballaggio, scatole da spedizione, carte assorbenti, carte crespate policromi, feltri, reticelle metalliche, carta vetrata, vecchie cornici, ecc divengono protagonisti della sue opere, essenza viva e agente nella realizzazione del progetto originale.

L’intervento, sempre controllato, su questi materiali di sostanze colorate, associate e/o conglutinate con colle, cementati, cere, vernici, e quant’altro, dà i più disparati risultati, determinando operazioni in fieri, mai casuali, anche se, a volte gli effetti finali si rivelano sorprendentemente al di là delle aspettative.

BIO004Pace realizza nel ‘72/’73 una serie di piccoli lavori – le formelle – prevalenteente tavole quadrate di 30/40 cm di lato, nelle quali è presente una sezione centrale ricavata attraverso l’incisione del legno con sgorbie. Ciò determina uno spazio liquido, dai confini non regolari, trattenuto da bordi levigati che limita l’espandersi dinamico della struttura più interna. I pigmenti che si stendono a coprire la superficie di ogni singola formella variano, dal grigio antracite al giallo squillante, a volte mischiati a volte solitari. Spesso Pace conclude l’operazione grattando la superficie con un foglio di carta vetrata, asportando e distribuendo i color per creare un effetto particolare, un effetto di erosione. Le opere mettono in evidenza un’operazione che abbina gesti appartenenti alla scultura – l’utilizzo di una sgorbia e la piallatura con la carta a vetro – a esiti che non possono che essere considerati pittorici. Carletto accetta la sfida con i materiali che lo costringono a compiere un’operazione di trasformazione che gli permette di contenere la forza dirompente della pittura accettandone i limiti.(*Da Carlo Pesce “L’Estetica del Ruvido”).

La produzione di questo periodo diventa intensa e febbrile e risulta una significativa sintesi tra  il “fare” artigianale e la tensione di ricerca. Le opere si sottraggono allo “spazio dipinto”, tendendo ad uscire definitivamente dal “quadro-gabbia” per le forme e la cromia. La materia “libera” alternata a spazi di colore sprigiona un’energia vitale che trasforma l’oggetto-quadro, in “corpo del quadro”, un tutt’uno con l’autore, quasi una proiezione della sua identità umana. Si intravedono nei vuoti di materia quei ciechi occhi che diverranno una tematica di Pace: l’occhio del quadro (1974), l’inquietante occhio che scruta la realtà circostante senza interferenze e giudizi perché è l’occhio dell’artista che guarda il mondo, ma non ha potere alcuno sugli accadimenti.

i3amiciLa ricerca sui materiali porta Carletto al quasi totale rifiuto del colore. Egli sente l’esigenza di usare molto nero, il quadro diventa scuro, si ammala, si piega… Nella materia cromatica, densa, vischiosa o annientata da acidi, comincia ad affiorare “un’ossatura inanellata” che agisce come spazio di penetrazione in continua riproduzione che, man mano, si concretizza diventando la spina dorsale del quadro.

Nel 1975 le prime spine dorsali compiute emergono dalla lacerazione delle carte assorbenti, poi prendono vita su tavole e su materiali vari fino alla carta vetrata. La “paternità” artistica delle spine dorsali ci riporta alla vita stessa dell’autore, all’insopprimibile esigenza di costruire nel quadro “un’identità artistica ” riconoscibile: essenza umana e artistica fuse in un binomio inscindibile. (da testo critico Marisa Vescovo).

Nel 1977 nascono le anatomie, carte anatomiche dipinte, approfondimento di indagine nel corpo umano al fine di acquisire ulteriori elementi per proseguire il percorso sulla fisicità del quadro. Alla fine degli anni ’70 e a tutti gli anni ’80 Pace utilizza carte assorbenti, cartoni ondulati, cartoni rigidi, vecchie cartoline per farne delle vere e proprie opere, abrase sulla superficie, rielaborate con tratto nero, veloce, sicuro ed essenziale alcune, altre dipinte con oli smalti, colle e quant’altro, tutte quante marchiate da quelle “sinuose e sottili zampe di ragno” che paiono aggrapparsi alla superficie violentandola, vuoi in intricate tele-ragne”, vuoi in impronte di “spine dorsali” inquietanti e dolenti. Alcune opere sono realizzate su carte pregiate e pergamene, retaggi della storica cartoleria di Via Migliara, rese con leggerezza quasi lirica in una sorta di spartiti musicali.( * da testo critico di Dino Molinari)

ANNI ‘80

Dopo gli anni ’70, un gruppo di artisti omogenei non esiste. Si possono individuare due linee:

1) nuova astrazione: non è più definibile pittura perché di pittura non ce ne è affatto. In questa linea si posizionano Castellani, Vago, Verna, Gastini, Griffa, Olivieri, Bonalumi, Guarneri, Battaglia ecc.

2) Una linea “per domani” va individuata in quel gruppo di artisti che, con intenti e scopi diversi, intendono ricercare spazi operativi autonomi, privilegiando, canali di comunicazione non usurati, cercando una “scrittura” come itinerario psicologico e come valore di coscienza: Cioni, Sermidi, Varale, Bonelli, Ortelli, Bruzzone, Pace ecc.( * da testo critico Marisa Vescovo). Nella realizzazione dei cartoni Pace utilizza i materiali poveri precedentemente citati, operando su di questi interventi abrasivi che con colle e pigmenti colorati divengono opere pittoriche a pieno titolo.

OPERA GRAFICA: LE INCISIONI

Dal 1980 al 1991 Pace si dedica alla grafica. Le lastre, personalizzate nel taglio e nelle “graffiature” producono incisioni che per i forti contrasti tonali risultano simili a “vetusti papiri”. Da subito Carletto con la naturalezza degli artisti che sono abituati a sperimentare senza sosta e, in ogni caso, a mettere in gioco le nuove idee e captare possibilità espressive di materiali, trasforma le prime lastre sulle quali inizia ad incidere in una palestra di irrituali e sorprendenti scavi sul metallo. Esempio eclatante è l’utilizzo, non sporadico, del disco smerigliatore per produrre segni a punta secca e abrasioni forti e dal carattere nervoso. Un’altra tipologia di intervento è mutuata dalla parallela azione in pittura, sui cartoni ondulati da imballo, di “tagliuzzare” gli angoli delle lastre per rompere la staticità del perimetro quadratico-rettangolare. Le superfici di queste matrici spesso sono solcate da graffi e segni come “incidenti del caso”, molto graditi a Carletto che predilige sempre partire da qualche situazione “vissuta” piuttosto che da superfici dall’aspetto asettico e specchiante. Esemplare è il lavoro del 1980 rivolto soprattutto ad indagare il segno dell’inchiostro di china rapportato alle superfici delle carte assorbenti trattate con ogni pensabile mezzo pittorico o extra pittorico. Siamo del resto alle porte dell’intensa stagione dei “fonemi” che è conseguenza evolutiva dell’”elogio del segno” (da testo critico Gianni Baretta).

FONEMI

Negli anni ’80 l’attività artistica di Pace si orienta verso l’acquisizione di un linguaggio segnico-gestuale che scaturisce dalla ricerca dell’essenzialità espressiva e dall’esigenza di “una comunicazione alternativa personale, universale” da qui deriveranno opere al limite della dissolvenza, quasi una registrazione inconscia della vibrazione del segno, brevi annotazioni di suoni, tracce di un gesto che, nell’insieme, formano proposizioni pittoriche pervase di musicalità: I FONEMI. Dal greco phonéma da phonein, produrre un suono. I fonemi si trasformano in espressioni grafiche che, complessivamente, corrispondono alla visualizzazione di un flatus vocis, di un suono di un equivalente musicale. Realizzati su fondo bianco o nero, si materializzano in annotazioni rapide, decise, lancinanti, chirurgiche oppure in piccole tacche cromatiche, geometriche, simili a tessere di mosaico. I fonemi segnici sono più freddi, trasposti e mentali, quelli a tessera cromatica sono più lirici e pittorici (da testo critico Dino Molinari). I fonemi datati anni ‘90 sono soprattutto pittorici, caratterizzati da macchie cromaticamente molto forti e da una gestualità prorompente.

ANNI ‘90

Negli anni ’90 l’indagine di Carletto si indirizza verso una forma indefinita, fluida, autodeterminante che si aggrega in grumi, efflorescenze, cristallizzazioni. Affiora costanteme
nte un nucleo in cerca di spazio vitale al di fuori di sé, un forma in fieri che libera brandelli, lacerti, nervature, filamenti radicali in una sorta di ragna-tela o tela-ragna. Gli elementi della composizione sono affidati agli usuali strumenti del linguaggio pittorico, ma colore, materia, segno, gesto sono sempre esplosivi, deflagranti usati secondo una sintassi dettata da
un’immaginazione fuori da ogni schema, da ogni ordito convenzionale. Il linguaggio pittorico rimane fedele all’assoluta libertà espressiva e alle suggestioni emotive e sensoriali.(* da testo critico Dino Molinari). I lavori prevalentemente su tela denotano la ricerca di serenità interiore dopo un periodo di conflitti personali. La cromia di questi lavori si basa su tonalità pastello-chiaro, rosa e azzurro. La materia è incisa dal segno in maniera meno marcata. Caratterizza questo periodo anche una nutrita serie di disegni in linea di continuità con le strutture compositive della fine degli anni ’60 che ci riporta alla scrittura arabescante degli stilemi dell’arte klimtiana, preziosismi grafici in cui il segno si esprime in tutta la sua efficacia.

ANNI 2000

Il 2000 è stato un anno importante per le ricerche di Pace. La riflessione sulla sua produzione artistica lo porta alla realizzazione di nuove tipologie di opere.

Le TESSITURE sono manufatti eseguiti con ago e filo: la metafora della memoria. Il filo della memoria, infatti, recupera i “frammenti” dell’esperienza umana, culturale, artistica e li ricuce costituendo tramature ideali sempre in evoluzione. La produzione di esse è limitata in quanto richiede grande impegno dal punto di vista sia visivo che manuale. Carletto li ritiene dei preziosismi.

LE PALE D’ALTARE

Le pale non sono opere a carattere religioso, bensì tele verticali campite di colori che vibrano di segni e colature e costituiscono un polittico teoricamente aperto e infinito.

LE CARTE A VETRO

Un giorno casualmente Carletto ritrova un pezzo di carta vetrata, materiale molto usato negli anni 70 per levigare le superfici. Riflettendo sulla sua ruvidità gli scatta l’idea de “la pelle del quadro”. La fisicità già conferita alle spine dorsali e all’occhio del quadro si può completare con quest’epidermide ruvida e graffiante un po’ come il suo carattere.* “La carta vetrata – asserisce Pace – mi dà un’identità artistica riconoscibile. Io sono il mio quadro, esisto perché mi sono costruito nel quadro stesso. La pelle del quadro resa indistruttibile perché mineralizzata dai collanti e, nel contempo impregnata dei cromatismi e delle luci del mondo diventa pietra, pietra miliare del percorso artistico compiuto fino ad oggi: un significativo traguardo”.(da autobiografia Carlo Pace)

GLI EMBRIONIstefanutto

Nel 2009 l’attività artistica di Carletto si completa con le tematiche dell’embrione e della sua moltiplicazione, la genesi. “Entrando nei meandri profondi della materia – spiega Pace – catturo e porto in superficie l’elemento primario della vita: l’embrione. Ritengo la tematica interessante ma difficile come, del resto, tutto il mio lavoro. Credo di essere stato coerente dall’inizio, seguendo costantemente le mie esigenze interiori, insopprimibili per la sopravvivenza. Quando sono nel mio antro e mi guardo intorno, penso che qui c’è proprio tutta la mia vita. Qualcuno sostiene che sono un esempio di resistenza, lo credo anch’io perché la ricerca artistica è stata lo scopo della mia vita. Arte e vita fuse in un binomio sottratto alle coercizioni della società”. (da autobiografia)