L’artista

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Carlo Pace nasce ad Alessandria, l’8 marzo 1937.

Si accosta all’arte precocemente avvicinandosi ai principali movimenti d’avanguardia.

Sono datate 1952-53 le prime prove materico-segnico-gestuali.

Egli ha rappresentato, per il territorio alessandrino, un’autentica proposta innovativa, ed è giovanissimo quando abbraccia la poetica informale – istintivamente più che razionalmente, data l’età.

Scrive Dino Molinari: Carletto con precocità sorprendente ha iniziato a inserirsi nel tessuto culturale alessandrino, fortemente condizionato dalla poetica novecentista, con un linguaggio nuovo ispirato agli esempi dello Spazialismo di Fontana e dell’Arte Nucleare milanese che imponeva l’Informale come alternativa al Neorealismo socialista e all’Astrattismo geometrico e si può ben dire che egli abbia praticato, nel territorio piemontese, una pittura di segno, di gesto, di materia, di luce, di idee, in epoca giusta e in date non inquinate. 

Il segno – afferma Pace in autobiografia – è l’elemento peculiare del mio lavoro; e ne è testimonianza la raccolta di disegni, datati anni 50, intitolata ”Elogio al segno” e la serie di ritratti e autoritratti dell’epoca.

Le prime esposizioni sono datate anni 60.

Quando storicamente il movimento informale esaurisce la sua spinta propulsiva, la materia delle sue opere si fa fluida, più decantata.  Avvertendo le problematiche dell’incomunicabilità umana e dell’ambiguità di genere, egli ne affronta il tema tramite una figurazione del tutto nuova e personale:  figure prive di braccia, senza contatto, che catturano  l’attenzione e l’interesse di  Marco Valsecchi  il quale nel 1970 lo segnala e invita al “Premio Ramazzotti” a  Palazzo Reale a Milano. Nel 1973 in occasione della mostra a ”Il Salotto” a Como,  Pace conosce Mario Radice, artista e critico che sarà fondamentale nella sua formazione.

Il suo libero spirito di ricerca, il suo bisogno di sondare nuove forme di espressione, nuovi linguaggi figurativi lo segnalano come artista di ricco e variegato sperimentalismo, di colto e collaudato eclettismo. L’uso ben mirato di materiali di recupero, i più disparati, reinseriti con intelligenza e con ripristinata dignità nell’ambito del discorso estetico, fanno di lui un protagonista di un nuovo Dadaismo, un interlocutore dell‘Arte Povera.

Negli anni 70 i supporti della più svariata natura – tavole, legni, ma specialmente le carte assorbenti e i cartonigli permetteranno di operare una significativa sintesi di ricerca e di fare artigianale. Nei legni e nelle formelle Pace raggiunge un efficace linguaggio plastico. Prendono vita tavole nelle quali spazi di materia libera, alternati a spazi di colore, evidenziano quei ciechi vuoti  che diverranno  una delle sue tematiche distintive: l’occhio del quadro. La materia è percepita come essenza viva, perché soggetta alle trasformazioni naturali come tutti gli  esseri viventi. Nella materia  incomincia ad affiorare un’ossatura inanellata che agisce come spazio di penetrazione in continua riproduzione che man mano si concretizza, diventando spina dorsale del quadro. Risalgono al 1975 le prime spine dorsali emergenti dalla macerazione delle carte assorbenti, poi realizzate su tavole, su tela, quindi su carta a vetro.

Nel 1977 nascono le carte anatomiche.

Negli anni ’80 un nuovo linguaggio segnico-gestuale entra nella produzione di Carletto: i fonemi. Quasi tutti su carta e faesite, essi sono una sorta di brevi annotazioni di suoni, tracce di un gesto che, nell’insieme, formano proposizioni pittoriche pervase di musicalità.

Dall”80 al’91 con Gianni Baretta, si dedica alla calcografia.

Nel decennio 1990/2000  Pace rientra  nell’ambito della “pittura”, una pittura che non rinnega i presupposti informali, ma si fa immagine smagliata, talora griglia, rete, talaltra immagine che sconfina nella tavola botanica, anatomica, istologica. Una forma in fieri, una sorta di ragna-tela(o tela-ragna). Gli elementi della composizione, pur affidandosi a strumenti del linguaggio apparentemente tradizionali, risultano esplosivi, deflagranti secondo una sintassi fondata su una immaginazione fuori da ogni schema, da ogni ordito convenzionale, come registra Dino Molinari. L’inizio del nuovo millennio vede Pace impegnato nella realizzazione di grandi tele verticali, un polittico infinito, aperto cioè alla  possibilità di progressive eventuali aggiunte.

Nel 2003 prendono vita le tessiture, manufatti eseguiti con ago e filo. Tale produzione è stata tuttavia piuttosto limitata, richiedendo un grande impegno sia visivo che manuale.

Dal 2005  la carta a vetro diventa la superficie d’elezione dello spazio pittorico: la pelle del quadro ruvida e graffiante, un po’ come il suo carattere.

Il 1 febbraio 2011, ad Alessandria, Carlo Pace si spegne improvvisamente.